giovedì 19 gennaio 2012

Azienda vinicola Masciarelli


L’Azienda Agricola Masciarelli viene fondata a San Martino nel 1978 da Gianni Masciarelli ed inizia a produrre vini nel 1981. Oggi l’azienda Masciarelli è attiva nella produzione di Vino, Olio Extravergine di Oliva e dedicata all’Enoturismo grazie anche all’acquisizione e attento restauro conservativo del Palazzo Baronale “Castello di Semivicoli”.
Gianni Masciarelli eredita dal nonno paterno Giovanni la passione per la vigna e per il vino. Ed è proprio nella vecchia cantina del nonno, che Gianni Masciarelli inizia a creare i suoi vini.
Nel 1987 Gianni incontra Marina Cvetic. Da quell’incontro nasce un legame privato e professionale, e Marina affiancando suo marito presto imprime la sua personalità nell’azienda, partecipando anche alla creazione di una delle linee più rappresentative della Masciarelli, a lei dedicata: la linea Marina Cvetic, che è oggi annoverata tra le 4 linee aziendali, suddivise in 14 etichette: Masciarelli Classico (Montepulciano, Rosato, Trebbiano), Villa Gemma (Montepulciano, Cerasuolo d’Abruzzo, Bianco), Marina Cvetić (Montepulciano, Trebbiano, Chardonnay, Merlot, Cabernet Sauvignon), Castello di Semivicoli (Trebbiano, Rosso Terre Aquilane) e Iskra (Montepulciano), per una produzione annuale di oltre 2 milioni di bottiglie.
Marina Cvetic è attualmente la principale figura di riferimento dell’azienda. Dall’unione di Gianni e Marina sono nati Miriam, Chiara e Riccardo.
Dai 2,5 ettari iniziali, oggi l’azienda Masciarelli conta circa 320 ettari coltivati a vigneto, disseminati in 14 comuni nelle province di Chieti, Teramo, Pescara e L’Aquila. Si tratta di terreni dalle caratteristiche specifiche, ricchi di minerali, posti a varie altitudini (da 200 a 500 m.), dal mare alla montagna, coltivati sia seguendo il tradizionale allevamento a ‘pergola abruzzese’ che il filare a guyot; terreni esposti alle diverse condizioni climatiche e dalle diverse tipologie (calcarea, argillosa, sabbiosa, roccia strati, ciottolosa) che producono pertanto specifiche e differenti espressioni dei vitigni in essi coltivati, esaltandone le peculiarità.
Centro vitale dell’azienda è San Martino sulla Marrucina, un piccolo borgo in provincia di Chieti, a 420 metri di altitudine e a soli 20 chilometri dal mare Adriatico e a 20 dalle cime della Majella.
La cittadina di San Martino è anche nota come ‘il paese dei polverieri’. I fieri abitanti del paese custodirono per generazioni la ricetta della polvere da sparo (ottenuta da zolfo, salnitro e carbone dei tralci della potatura), e grazie ad essa alla fine del 1700 riuscirono a resistere alla presa da parte delle truppe napoleoniche.
Sin dall’inizio Masciarelli ha scommesso sulle potenzialità di quei vitigni che parlavano la lingua della sua gente: il Montepulciano, il Trebbiano. Nella filosofia produttiva di Masciarelli grande importanza è riconosciuta al territorio e alla sua cultura e tradizione enologica. Primaria passione di Gianni è l’Abruzzo, terra straordinaria, dai profumi, colori e sapori intensi che si ritrovano in tutti i suoi prodotti tipici (dalla pasta al vino, dall’olio extravergine di oliva ai formaggi, dalle carni allo zafferano, dai tartufi ai dolci alla ventricina, ai confetti). Terra di artisti e poeti (D’Annunzio, Tosti, Michetti, Cascella, Flaiano, Palizzi), in cui il moderno polo industriale convive con l’artigianato e le più antiche tradizioni, ancora intatte. 


I VINI:

Marina Cvetic (rosso)    
             
 
Nome: Marina Cvetic Montepulciano d’Abruzzo Doc

Vitigno:     montepulciano d'abruzzo 

Limpidezza: limpido

Colore:      rosso rubino con riflessi granato

Bouqet:     intenso-complesso-ampio

Sapore:     floreale-fruttato-speziale

Abbinamenti:filetto di manzo con tartufo nero, carni alla brace                 








Villa Gemma (bianco)
















Nome: Villa Gemma Bianco Igt Colline Teatine

Vitigno: 80% Trebbiano d ‘Abruzzo 15% Cococciola - 5% Chardonnay

Limpidezza:cristallino

Colore: Giallo piaglierino

Bouquet: Abbastanza intenso - profumo fine

Sapore: Fruttato-floreale ( sentori di frutta gialla, mela , banana/fiori bianchi-gelsomino)

Abbinamenti: Pesce crudo-pesce di struttura media -primi piatti di pesce





mercoledì 18 gennaio 2012

Mazzarelle teramane

Sembrano un secondo e, di certo, la prima impressione sarà quella di considerarle una portata successiva al timballo o ai maccheroni alla chitarra. Invece, le mazzarelle sono un primo, anzi: il primo obbligatorio del pranzo pasquale, una sorta di tradizionale ouverture dedicata all'agnello ed evocatrice di un indimenticato e indimenticabile passato di quotidianità contadina. Piatto semplice, all'apparenza, coratella di agnello avvolta in foglie di indivia legate con budelline dello stesso agnello, ma soggetto all'irrisolto dibattito tra due scuole di pensiero: quella della mazzarella semplice, cotta in un soffritto che ne esalti il sapore, e quella della mazzarella in umido, lasciata cuocere in un sughetto che si impreziosisce degli umori delle carni d'agnello. 

RICETTA:

Dosi per 4 persone: 1 coratella d'agnello (cuore, fegato e budella), un bicchiere e mezzo di acqua e vino, 1 mazzetto di maggiorana, agli e cipolle freschi, alcune foglie di lattuga, prezzemolo e peperoncino, farina ed aceto quanto basta.


Preparazione: Aprire le budella nel senso della loro lunghezza, lavarle e sciacquarle accuratamente. Quando le budella saranno diventate di color chiaro e ben pulite, sciacquare con acqua ed aceto. Tagliare a listelli la coratella, sciacquarla e metterla a scolare, dopo averla salata, insieme con le budella. Prendere una foglia di lattuga e porvi sopra, facendone un mazzetto, 3-4 listelli di coratella, cui bisogna aggiungere un po' di cipolla, di prezzemolo e d'aglio. Legare il mazzetto con le budella e via via che le mazzarelle saranno confezionate metterle a scolare e poi cuocere solo in olio. Quando le mazzarelle cominceranno a friggere (ed olio e acqua saranno stati assorbiti), aggiungere mezzo bicchiere d'acqua e vino, fare assorbire e versare ancora una volta la stessa quantità di acqua e vino. Ripetere nuovamente l'operazione. Se si vuole si può aggiungere qualche pomodoro a pezzetti. N.B. Per pulire bene le budella, infarinarle e strizzarle, ripetendo l'operazione più volte.

Pasta alla chitarra

La pasta in Abruzzo: maccheroni, o meglio maccheroni alla chitarra.
Si tratta di un formato di pasta lunga a sezione quadrata, vengono detti anche caratelle.
Ma cos’è la chitarra? E’ uno "strumento", certo (ma non si può suonare), infatti, il nome deriva dal fatto che si tratta di un vero e proprio strumento a corde: un telaio rettangolare di legno di faggio prodotto artigianalmente in cui vengono tesi dei sottilissimi fili d'acciaio, alla distanza di un millimetro l'uno dall'altro. Non si sa chi abbia inventato la chitarra con cui vengono prodotti questi maccheroni, il piatto abruzzese per eccellenza anche se si è diffuso negli anni anche in Lazio e Molise.
L'impasto, che è “semplicemente” un classico impasto di uova e farina, viene lavorato a lungo e quindi viene ridotto in sfoglie dette pèttole, queste vengono messe una alla volta sulla chitarra. Passandovi sopra col matterello, i fili della chitarra tagliano la pasta a striscioline dalla tipica sezione quadrata che conservano l'antico nome di «maccheroni», la dizione autentica è infatti «maccheroni alla chitarra». Si tratta di una pasta che ha notevoli caratteristiche: dura, elastica, di un bel colore dorato e resistentissima alla cottura. Non tutti sanno però che in questa regione è diffuso un altro sistema per la preparazione dei maccheroni. Si tratta del metodo 'delle manate', di origine sicula. Si prende una pagnotta formata con acqua e farina e la si buca al centro con la punta dell'indice, allargando via via il foro fino ad ottenere una vera e propria ciambella. A questo punto la si afferra con le mani, allargandola sempre di più a forza di strappi, e contemporaneamente raccogliendo a matassa il cordone di pasta. Alla fine il maccherone risulterà fine quanto uno spaghetto e lungo quasi trenta metri. Lo si avvolge a matassa e durante la bollitura rimane incredibilmente sodo e sottile, senza rompersi né appiccicarsi.

I condimenti? Un sugo di pomodoro assai denso e reso robusto da pancetta affumicata, pecorino piccante grattugiato e dall'immancabile peperoncino.
Condimento altrettanto tipico è il ragù di carne di agnello e di maiale.

La tecnica di confezione della pasta, passata da una fase artigianale a quella industriale, ha fatto sorgere nella regione una serie di stabilimenti modernissimi che fanno concorrenza ai più famosi pastifici di Napoli. Un segreto dei loro ottimi prodotti è la farina di grano duro impiegata e il fatto che si è tenuto conto, nella lavorazione meccanica, della antica preparazione manuale e casalinga. Oggi queste paste sono distribuite in molte parti d'Italia e consentono quindi di riprodurre piatti che, se non sono identici a quelli locali, si avvicinano molto ad essi.

Sull’origine dei maccheroni o della pasta in genere non ci sono molte certezze. Varie sono le ipotesi in merito. Una prima teoria vedrebbe i cinesi come inventori dei maccheroni: uno scavo effettuato in Cina portò alla luce un villaggio del neolitico e tra gli oggetti di uso quotidiano ritrovati, c’era una specie di piatto capovolto, rigirandolo vennero ritrovati dei filamenti fatti con un impasto d’acqua e farina. Non si trattava di farina di grano duro bensì di miglio; erano color giallo paglierino e lunghi anche cinquanta centimetri: erano degli antenati della pasta. Le analisi col carbonio 14 hanno dimostrato che questo piatto di pasta ha circa 4000 anni.

Secondo molti comunque i maccheroni sono nati in Italia. Della pasta ne sapevano qualcosa gli Etruschi: nella tomba della “Grotta Bella”, a Cerveteri (IV secolo a.C.) c’è la raffigurazione dell’interno di una casa, con tutto ciò che serve per preparare la pasta: il matterello, la spianatoia, la rotella per tagliarla. Sempre rimanendo in tempi piuttosto remoti ritroviamo la làgana. Una schiacciata di farina considerata la progenitrice della lasagna. Cicerone e Orazio se ne cibavano con piacere. Verso l’anno 1000 vengono alla ribalta i siciliani di Trabìa, vicino Palermo. Là si faceva un tipo di pasta lavorata in forma di filamenti, che avevano il nome arabo di “itriyah”. Questo nome è rimasto, e non solo lui, visto che ancora oggi i palermitani mangiano i “vermicelli di Tria”.
Che li avessero inventati loro, o glieli avessero portati a domicilio gli arabi, i siciliani furono considerati sino al Medioevo dei formidabili mangiatori di pasta. Erano detti infatti “mangiamaccarruna”.

Un’altra teoria sostiene che i maccheroni siano stati portati in Italia da Marco Polo, di ritorno a Venezia dal Catai nel 1292, ma questa ipotesi si scontra con ben due testimonianze documentate antecedenti a questo periodo: una prescrizione medica del 1244 in cui un medico bergamasco, Ruggero di Bruca, prometteva ad un paziente che sarebbe guarito, a patto che smettesse di mangiare carne, frutta e pasta (“…et non debes comodare aliquo frutamine neque de pasta lissa nec de caulis…”); nel 1279 il notaio Ugolino Scarpa, in un legato, indicava, tra i beni lasciati in eredità dal suo cliente Ponzio Bastone, “bariscella una plena de macaronis”, una cesta piena di maccheroni.

Varie pure le leggende o i miracoli. Per fare un esempio, si narra che il beato Guglielmo Eremita, siciliano, venne invitato a pranzo nella casa di un signorotto locale. Questi per prendersene gioco, gli fece servire un piatto di maccarones” (così riferisce il cronista dell’epoca) ripieni di fango, anziché di ricotta. Il beato Guglielmo non fece una piega: benedisse il cibo, e cominciò a mangiare. Il fango si mutò all’istante in ricotta, per lo scorno del suo maleducatissimo ospite. Sulla veridicità di questa storia si può certo discutere, ma grazie ad essa sappiamo che prima del 1247, anno di morte del beato Guglielmo, i “maccaroni” facevano già parte della cucina siciliana. C’è poi un’ipotesi che potremmo definire antropologica: secondo questa teoria, la pasta non l’avrebbe inventata nessuno. Sarebbe nata da sola, in modo naturale: il frumento è noto all’uomo da più di diecimila anni, e la farina, che deriva dallo schiacciamento dei chicchi di frumento, è quasi altrettanto antica. Impastandola semplicemente con acqua, venivano fuori delle focaccine sottili, magari non belle a vedersi, ma nutrienti, una volta cotte su pietre calde. Da qui a far bollire in acqua questo impasto, il passo è breve: nel senso che dalle focacce cotte alla “pasta” cotta in acqua passano “solo” settemila anni.

La ricetta dei maccheroni alla chitarra

Ingredienti (per 4 persone):

400g farina di grano duro, 4 uova, sale q.b.

Procedimento:

Fare una fontana con la farina, mettere al centro le uova ed una presa di sale, battere leggermente le uova con una forchetta, quindi procedere all’impasto con le mani. Lavorare a lungo la pasta sino ad avere un panetto compatto e malleabile.
Fare riposare sotto una ciotola capovolta per 30-40 minuti.
Stendere in sfoglie molto sottili rettangolari, avendo l’accortezza di ricavare sfoglie rettangolari della stessa dimensione del piano della chitarra.
Disporre le sfoglie di pasta una alla volta sulla chitarra e passare su il matterello. Disporre la pasta ricavata su un telo infarinato e spolverare ulteriormente con la farina.
Cuocere in abbondante acqua salata finché non vengono bene a galla.

Suggerimenti per il condimento:

La pasta si può condire con sugo di pomodoro, arricchito con un soffritto di pancetta, una spolverata di peperoncino e pecorino a piacere, oppure con ragù di agnello. Per preparare i maccheroni alla chitarra con il sugo di agnello si procede così: fare un soffritto di aglio e cipolla, aggiungere 350 g di polpa di agnello in piccolissimi pezzi, e farla rosolare, bagnarla poi con mezzo bicchiere di vino bianco, lasciare evaporare ed unirvi 250 g circa di passato di pomodoro e due foglie di alloro. Lasciate cuocere per circa 45 minuti. Aggiustare di sale e pepare a piacere con pepe nero o peperoncino.